Come è noto a chiunque bazzichi tra siti e blog di tecnologia, Google ha da poco presentato il tanto discusso Nexus 6, come solo lei sa fare. Nessun grande evento alla Apple è stato organizzato, nessuna campagna pubblicitaria massiccia, in stile Samsung, è stata imbastita, nessun countdown ci ha tenuti con il fiato sospeso. Un discreto annuncio e un breve video su YouTube sono bastati a creare il giusto fermento nelle comunità di tecnofan.
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Ora, però, tralasciando il mero hardware del dispositivo, convincente o deludente che sia, proviamo invece ad analizzare l’aspetto più interessante: Android 5.0 Lollipop.
Soffermiamoci innanzitutto sul numero della nuova versione del sistema operativo di Google e su ciò che rappresenta. La 5.0 è una release a lungo attesa dagli Android users.
Era la fine del 2012. Il nexus 4 era sul mercato da non troppo tempo e feroci polemiche nei confronti di LG e Google infestavano il web, a causa della modalità di distribuzione del device, quantomeno discutibile. Fin da allora, gli addetti ai lavori davano quasi per certo che, al Google I/O 2013, l’eccezionale versione 5.0 key lime pie sarebbe succeduta a Jelly bean 4.2. Sappiamo tutti come andò a finire. Key Lime Pie fu il grande assente dell’evento, ma Google si divertì a stuzzicare gli utenti con riferimenti espliciti alla release: un androide che mangiava un pezzo di torta verde e lo screenshot di un gioco, che recava, tra le voci selezionabili, proprio la dicitura “Key Lime Pie”.
Appare evidente come l’azienda di Mountain View avesse tutte le intenzioni di rilasciare un major update, che avrebbe cambiato radicalmente la piattaforma, tuttavia, arrivò invece Android 4.3, l’ennesima incarnazione di Jelly bean. Probabilmente i tempi non erano maturi e non lo erano neanche quando Google tirò fuori dal cilindro Kit Kat, tra lo sconcerto generale.
Ancora strettamente legata al passato, ma proiettata nel futuro, probabilmente la 4.4 aveva il compito di traghettare gli utenti e, soprattutto, gli sviluppatori verso l’agognata 5.0.
Dunque ecco finalmente Lollipop, il punto d’arrivo di anni di sviluppo, ma anche un punto di partenza su cui lavorare. Diamo allora uno sguardo al changelog pubblicato sul sito ufficiale di Android.
Le funzionalità del centro notifiche, uno dei punti di forza del robottino, sono state ulteriormente ampliate. È stato introdotto un nuovo sistema di risparmio batteria. Sono stati aggiunti altri quick settings e la possibilità di usufruire del multiutente su smartphone. Inoltre è stata migliorata la sicurezza e la parte multimediale. Fin qui nulla di speciale. Le personalizzazioni dei produttori già sopperivano alla maggior parte delle mancanze di Android nudo e crudo. Le novità sono ben altre.
Sappiamo tutti quanto questo sistema sia versatile. Smartphone, tablet, smartwatch, Google Glass, box-TV e smart-tv, computer portatili, consolle e auto sono alcune delle macchine che si servono di Android, in quanto progetto open source, capace di funzionare su una grande varietà di hardware. Tuttavia, non sempre l’esperienza utente è soddisfacente su ogni dispositivo e bisogna spesso scendere a compromessi. Con Lollipop, Google cerca di realizzare un OS capace di adattarsi efficientemente, sia su schermi da 50″, sia su mini display da 2″, ridisegnando la UI a seconda delle esigenze.
Il Material Design nasce con l’arduo compito di uniformare e ordinare un vasto ecosistema, fin ora governato dal caos, infiocchettando il tutto con una interfaccia rinnovata, curata e accattivante, che promette finalmente una coerenza grafica di cui si sentiva la mancanza.
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Si tratta di un deciso passo avanti verso una più confortevole interazione tra Utente e OS, tuttavia, se Lollipop ci offre una dolce superficie zuccherina, cosa nasconde invece il cuore di questo lecca-lecca? La risposta è: una runtime completamente rinnovata!
Il Runtime System di una piattaforma è quel software necessario all’avvio dei programmi. La virtual machine Dalvik, utilizzata da Android, è basata su un sistema JIT (Just-in-Time). Questo vuol dire che lo sviluppatore di una applicazione ha il compito di scrivere solo una parte del codice, che verrà poi completato automaticamente al momento dell’avvio. Ciò comporta una scarsa immediatezza, soprattutto con hardware di basso profilo, d’altro canto garantiva una maggiore versatilità.
ART invece utilizza un sistema AOT (ahead-of-time) che compila l’intero codice dell’applicazione al momento dell’installazione, velocizzando di molto l’avvio dei processi. Non è tutto rose e fiori però. Infatti i programmi vanno aggiornati e resi compatibili con la nuova runtime, inoltre questi occuperanno più spazio in memoria e i tempi di installazione saranno più lunghi.
Quello compiuto da Google, è un cambiamento radicale e profondo, che porterà certamente grandi benefici, ma bisognerà fare i conti con l’estrema frammentazione che affligge il mondo Android. Infatti ora come ora Jelly bean rappresenta largamente la versione più diffusa e continuerà a esserlo, finché il mercato sarà invaso da dispositivi low cost con Android 4.2 o 4.3. Persino Gingerbread detiene una considerevole percentuale, benché sia difficile trovare in vendita dispositivi con tale versione.
Concludo riportando un’ultima, importante, integrazione “sotto il cofano”: il pieno supporto ai processori a 64-bit che siano essi ARM o x86. Quali vantaggi effetti porterà questa ulteriore implementazione? Vedremo dispositivi equipaggiati con 4 o più Gb di memoria Ram? Che Google abbia intenzione di invadere il mondo desktop con i suoi robottini?
Vedremo in seguito quale sarà la direzione che l’azienda di Mountain View intende seguire, comunque sia il futuro di Android si prospetta sempre più roseo.
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